Si chiama “Mari e Perda” la terza maglia del Cagliari per la stagione 2024/2025. Questa mattina il lancio sui canali ufficiali del club rossoblù.

 

“I colori e le venature dell’ossidiana, il pregio dorato del bisso: sono le perle che ispirano “Mari e Perda”, Third Kit 2024/2025 del Cagliari. Una delle vesti per la nuova stagione sarà dunque fortemente legata alle massime eccellenze della Sardegna, unendo storia, cultura, unicità e inedita creatività.


LA MAGLIA


L’ossidiana, pietra di origine vulcanica usata in Sardegna fin dall’età nuragica per le sue caratteristiche di durezza, resistenza e lavorabilità, trova compimento nel colore nero, per la prima volta a dominare e caratterizzare uno dei Kit Gara della squadra. Il giromanica è reso unico da un dettaglio dorato, la manica destra presenta un’applicazione in silicone che richiama il filo dorato del Bisso, prezioso filato ottenuto dalla Pinna Nobilis, storicamente utilizzato per la realizzazione di ricami dell’artigianato sardo. Sul retro del colletto la scritta “Mari e Perda”: il mare emblema di tenacia e forza, la pietra di forza e malleabilità dell’ossidiana. All’interno del colletto il tergisudore personalizzato con le scritte Cagliari Calcio ed EYE Sport. Nel fine maglia le scritte “Casteddu” e “Mari e Perda”. Sempre all’interno troviamo applicata la nuova etichetta che certifica l’utilizzatore in caso di maglia indossata dai calciatori o dal singolo tifoso.


LUOGHI E STORIE SENZA TEMPO


Il lancio del Third Kit 2024/2025 mette in luce i dettagli dei due elementi caratterizzanti. Grazie all’archeologa Maria Cristina Ciccone, responsabile dei servizi educativi del Museo dell’Ossidiana di Pau (OR), scopriamo uno dei due soli musei al mondo dedicati all’ossidiana, che racconta in esclusiva la storia di questa pietra formatasi milioni di anni fa e utilizzata dalle comunità del territorio almeno ottomila anni or sono. La magia risiede tutt’oggi nel Parco dell’Ossidiana, a Monte Arci (che si trova tra la piana del Campidano di Oristano e l’Alta Marmilla in Sardegna), il luogo dove questa storia incredibile si è svolta moltissimi anni fa e dove ancora si trovano i resti di lavorazione risalenti all’epoca neolitica.

Il maestro Chiara Vigo ci accoglie poi in un luogo dove è possibile trovare qualcosa di inimmaginabile. Il Museo del Bisso di Sant’Antioco (SU) conserva una molteplicità di storie che parlano di sapere antico tramandato di generazione in generazione con il bisso protagonista. Chiara Vigo, uno degli ultimi testimoni di un passato da conservare, racconta in prima persona a coloro che visitano il Museo, spiegando come il bisso – il filamento che la più grande conchiglia bivalve del Mediterraneo, la Pinna Nobilis o nacchera, emette per ancorarsi ai fondali – si raccoglieva (prima che la Pinna Nobilis diventasse specie protetta) in un preciso periodo dell’anno immergendosi in subacquea usando una tecnica tale da non compromettere la sopravvivenza della conchiglia stessa. Iniziava poi la lavorazione ad intarsio per vari scopi: lunga e laboriosa, che unita alla relativa scarsità di prodotto e alla finezza del filato lo rendono altamente pregiato.”